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Il 28 giugno del 1969 gay, lesbiche e trans si ribellarono per la prima volta alla polizia gettando le basi per la nascita del movimento di liberazione omosessuale (Gay Liberation Front).

Dopo più di 50 anni molte cose sono cambiate ma non lo spirito con cui scendiamo in piazza: liberazione dei corpi, dei sentimenti, delle relazioni in una manifestazione che afferma il diritto, fondamentale, di ogni persona, all’autodeterminazione sul corpo e nelle scelte di vita, per una libertà senza confini.

Libertà: una parola talmente inflazionata da risultare insignificante o espressione di una logica individualistico/liberista che la trasforma in uno spazio fisico di “dominio”, nel diritto del più forte. Ma la libertà è ben altro, è la prospettiva ideale dell’impegno e della lotta per il riconoscimento dei diritti umani fondamentali a partire dalla dignità, ossia il «diritto ad avere diritti» (Hannah Arendt). Ogni persona, senza distinzione di età, condizione fisica e mentale, sesso, etnia, religione, grado di istruzione, nazionalità, cultura, impiego, opinione politica, condizione sociale, orientamento sessuale e romantico o identità di genere merita un rispetto incondizionato, sul quale non può prevalere alcun interesse particolare o “superiore”, come la “razza”, la “società” o la “norma”.

Il diritto alla propria identità, alla libera espressione di sé, del proprio pensiero, dei propri sentimenti e della propria sessualità sono diritti che devono essere mediati unicamente dalla relazione sociale e non dalla normatività culturale. Le regole socialmente condivise, come le leggi, riequilibrano le differenze di status sociale e modo di essere in un’ottica di pari opportunità e determinano il passaggio da una dichiarazione formale di libertà al suo riconoscimento sostanziale. Senza questo riequilibrio molti diritti saranno preclusi, come il diritto allo studio, al lavoro, alla salute, alla casa e, più in generale, alla libera espressione di sé e delle proprie aspirazioni.

Vivere in libertà non significa quindi fare quello che ci pare, ma stimolare il desiderio e la voglia di conoscenza di ciò che consideriamo altro da noi nell’ottica dell’incontro, del confronto e della contaminazione reciproca, condizione essenziale per una convivenza attiva e pacifica.

Non c’è confine geografico, politico, religioso o “etico” che possa limitare e opprimere i nostri percorsi di liberazione, il nostro desiderio e la nostra curiosità. Non esistono minoranze ma semplicemente tante soggettività che creano un insieme in cui solo alcune persone hanno pieni diritti.

E se questa è la regola, noi siamo quell’eccezione che non la conferma ma la trasforma in privilegio.

Negli anni il pride è cambiato, ha ampliato la base rivendicativa e mantenuto immutato il suo significato più profondo: liberazione e orgoglio.

Da manifestazione dell’orgoglio delle persone gay, lesbiche e trans è diventato il momento della liberazione di tutte quelle soggettività oppresse dalla cultura machista eteropatriarcale e normativa.

Poiché siamo consapevoli che tutto ciò che non viene nominato non esiste, come abbiamo imparato dal movimento delle donne, chiamiamoci per nome:

siamo persone lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer, intersessuali, asessuali, aromantiche, pansessuali, poliamorose, non binarie, gender fluid, gender queer, kinky ma anche persone migranti, sex workers, con disabilità, sierocoinvolte e tutte le persone considerate diverse.

«Diversità non è un termine comparativo, non significa cioè diverso dalla norma, anormale. Diversità esprime la variabilità che rappresenta la condizione di base del mondo naturale» (Fabrizio Acanfora).

  • Chiediamo il diritto alla libera circolazione delle persone, perché chiunque deve essere liberə di decidere dove e come vivere. In particolare, sosteniamo l’accoglienza di chi fugge da situazioni di guerra o di oppressione politica e sociale a partire dallə migranti SOGI (Sexual Orientation Gender Identity).
  • Rifiutiamo con forza tutte le forme di conflitto armato, attuali e passate, che portano avanti una logica imperialista di dominio sul più debole, sotto forma di bieca e mai giustificabile “esportazione di democrazia”. Sosteniamo la resistenza dei popoli oppressi, e il loro diritto all’autodeterminazione, poiché nessuna persona potrà dirsi davvero libera finché tutte non potranno farlo.
  • Chiediamo il contrasto dei discorsi carichi di odio verso le persone LGBTQIA+ attraverso un’elaborazione sociale e un dibattito pubblico che permettano una reale rappresentatività insieme alla promulgazione di leggi contro l’odio, con particolare riferimento alle discriminazioni per orientamento e identità di genere.
  • Chiediamo che le cosiddette “terapie riparative”, sconfessate dalla comunità scientifica e condannate dall’Ordine degli Psicologi, ma ancora imposte sotto varie forme alle persone LGBTQIA+, siano messe al bando da una legge dello Stato.
  • Chiediamo il superamento del binarismo di genere da parte dello Stato Italiano, e che sia sufficiente un’autocertificazione per determinare la nostra identità. Rifiutiamo la narrativa del nascere in un corpo sbagliato e della sofferenza come condizione necessaria per l’avvio del percorso di affermazione di genere. Crediamo che il ricorso alle terapie sia una libera scelta, e non una tappa obbligata, dunque rifiutiamo la medicalizzazione forzata di questi percorsi.
  • Chiediamo il potenziamento dei servizi pubblici sul territorio, lo snellimento della burocrazia, e linee guida nazionali per i percorsi di affermazione di genere, al fine di rendere trasparenti e omogenei su tutto il territorio nazionale l’accessibilità, i tempi, le modalità e le condizioni di approvazione delle pratiche.
  • Chiediamo che anche le persone trans* minorenni abbiano accesso al percorso di affermazione di genere, tramite i bloccanti della pubertà (un trattamento reversibile che attenua un eventuale disagio e risparmia futuri interventi più invasivi), e maggiori tutele per coloro che non hanno un’adeguata rete di supporto.
  • Chiediamo non solo maggiore reperibilità dei farmaci per la terapia ormonale sostitutiva, ma anche una maggiore attenzione alla ricerca sulla salute delle persone trans*.
  • Chiediamo che si metta fine alle mutilazioni genitali per le persone intersessuali, affinché ne venga rispettata l’integrità fisica e la successiva autodeterminazione.
  • Chiediamo l’inserimento di un terzo genere nei documenti che eviterebbe l’incasellamento delle persone in un’ottica strettamente binaria.
  • Ci battiamo per una cultura del consenso in una società fortemente sessuofobica, ma nei fatti socialmente impositiva. Per questo sosteniamo il riconoscimento dell’asessualità e dell’aromanticismo come parte integrante della comunità LGBTQIA+, in ottica di superamento di una concezione basata sulla pressione sociale ad avere relazioni romantiche e/o rapporti sessuali.
  • Chiediamo che le università sarde, anche quelle che già prevedono la carriera alias, la estendano a tutte le persone della comunità trans* a prescindere dal loro percorso di affermazione di genere, senza lasciare spazio alla medicalizzazione dei corpi trans*, e che tutte le scuole di ogni ordine e grado della Sardegna inseriscano la carriera alias come opzione non solo per lə studenti, ma anche per lə docenti e il personale ATA che ne fa richiesta.
  • Chiediamo che i percorsi di formazione del personale scolastico, sanitario (con particolare riferimento alla salute mentale) e di tutti i servizi pubblici prevedano un’adeguata formazione sulle tematiche di genere, identità e orientamenti per evitare esclusione, emarginazione e umiliazione delle persone LGBTQIA+. Vogliamo che le scuole prevedano una corretta informazione sanitaria, sessuale ed affettiva, basata sul consenso e sulla consapevolezza, sul rispetto delle diversità e di contrasto all’abilismo.
  • Chiediamo che in tutti i luoghi di lavoro ci sia il contrasto di qualsiasi discriminazione basata sull’orientamento sessuale e romantico e sull’identità di genere e l’adozione di leggi positive per riequilibrare una situazione di disparità.
  • Difendiamo le scelte procreative di adultə, single, in coppia o in progetti di vita alternativi, attuate nel rispetto, nella dignità e con il consenso di tutte le persone coinvolte.
  • Ci battiamo affinché la genitorialità tra persone dello stesso sesso sia riconosciuta nell’ordinamento giuridico e nella società italiana.
  • Chiediamo il riconoscimento alla nascita di entrambi i genitori, per lə figlə delle coppie dello stesso sesso, a prescindere dallo status della coppia.
  • Chiediamo una revisione del Diritto di Famiglia, con particolare riferimento alle normative in tema di adozione e in tema di fecondazione assistita, con modifica della legge 40/2004, affinché vengano entrambe consentite anche a persone single o a coppie dello stesso sesso, a prescindere dall’orientamento e dall’identità di genere.
  • Chiediamo l’approvazione immediata della proposta di legge per l’eguaglianza e la pari dignità familiare presentata da Famiglie Arcobaleno e Rete Lenford.
  • Chiediamo una GPA etica e solidale, che rispetti sempre tutte le persone coinvolte e per questo sosteniamo la proposta di legge già depositata in Parlamento.
  • Chiediamo maggiore attenzione da parte delle istituzioni sul tema HIV/AIDS e sulle MST (malattie sessualmente trasmesse). Sosteniamo la revisione, già depositata in Parlamento, della legge 135/90, ormai obsoleta e non in grado di rispondere alle esigenze delle persone sierocoinvolte, né tantomeno di perseguire gli obiettivi posti dall’UNAIDS per il 2030. Chiediamo l’accesso gratuito alla PrEP (profilassi pre esposizione) e agli altri dispositivi di protezione (metodi barriera e siringhe) per chiunque ne abbia necessità, nonché il rilancio di campagne informative e di screening.
  • Il Coordinamento del Sardegna Pride

    Alcuni spot delle edizioni passate